
Miti e leggende che raccontano la Sardegna e i sardi.
La Sardegna è una terra antica.
Talmente antica che noi sardi abbiamo avuto tantissimo tempo a disposizione per mutare il nostro modo di abitarla e rispettarla.
E’ stato un processo lento quanto inesorabile che, non sempre per motivi riconducibili esclusivamente a noi sardi, ci ha portato a voler dimenticare quel profondo legame che ci stringe alla nostra terra.
A ragione però ho messo quel “voler”, perché in realtà, per quanto ci siamo impegnati in questo assurdo gioco del riuscire a scordare chi siamo, non ci siamo riusciti.
O almeno non del tutto.
La Sardegna è la madre di chi, come me, è nat* dal suo grembo e di chi invece l’ha scelta come dimora, per cui – per quanti sforzi ci ostiniamo a fare – proprio come una mamma, ci resta dentro.
La Sardegna ce la portiamo nel nostro codice genetico.
Un legame antico…
Questo antico legame è ancora vivo sotto le ceneri del tempo e del progresso ed è arrivato a noi sotto forma di oggetti concreti o nelle parole ripetute di generazione in generazione.
I primi sono quei simboli visivi che, disseminati su tutto il territorio regionale, caratterizzano il nostro paesaggio.
Sono così tanti che siamo talmente abituati a vederli da non coglierne più il significato profondo di testimonianza preziosa di quel legame che ci unisce alla terra, alla natura e alla vita, di cui invece erano ben consapevoli i nostri antenati.

Questi simboli fanno parte del nostro ricchissimo patrimonio culturale materiale.
Sono i nuraghi, le tombe dei giganti, le domus de janas, i betili e i menhir, le numerose e bellissime statuine raffiguranti la dea madre.
Sono i segni tangibili del nostro passato; di una storia lunga millenni.
Sono il nostro patrimonio archeologico e raccontano di popoli, scambi, battaglie, progressi; ma parlano anche di qualcosa di più intimo.
Ci parlano di credenze, culti, riti che celebrano il profondo legame tra uomo e terra.
Sono segni concreti di un’antica civiltà e di un’arcaica conoscenza.
La stessa che ancora oggi, nonostante il trascorrere del tempo e i nostri dubbi di uomini moderni, viene tramandata di generazione in generazione attraverso i racconti e le leggende.
… raccontato nei miti e leggende
L’insieme di questi miti e leggende fa parte del nostro patrimonio culturale immateriale, ovvero di quell’insieme di conoscenze e prassi che, non solo viene trasmesso di generazione in generazione, ma viene costantemente ricreato dalla comunità in relazione al rapporto con l’ambiente in cui vive.
Questo nodo così stretto tra patrimonio culturale immateriale e ambiente sta alla base del forte valore identitario del primo.
E in effetti, l’eredità di miti e leggende tramandataci dai nostri avi è il nostro DNA: sono le nostre origini.
Qualche tempo fa ho letto sul web un articolo di Claudia Zedda in cui l’autrice affermava come i miti e le leggende siano la lingua in cui la nostra isola si esprime (per leggerlo clicca qui).
Sono d’accordo.

Una terra così antica e ricca di storia deve per forza aver concepito un modo per esprimersi ai, e attraverso, i propri abitanti.
E proprio come fa una madre, la Sardegna ha insegnato ai sardi a vivere nel rispetto per gli altri e la natura, e lo ha fatto adottando un linguaggio semplice e facilmente comprensibile.
I miti e leggende per l’appunto.
Attraverso questi racconti, la Sardegna ci vuole trasmettere un insegnamento ben preciso: vivere nel rispetto e in armonia con se stessi e con la natura.
In effetti, a ben guardare, le radici di questa tradizione, perpetratasi nel tempo grazie al potere delle parole, stanno tutte nel “rispetto”.
E’ un rispetto ad ampio raggio quello che miti e leggende sardi ci vogliono insegnare.
Rispetto per se stessi, per gli altri e per l’altro (intendendo così tutto ciò che non è umano).
Una delle forme concrete in cui si manifesta questo rispetto è quella del “dono”, inteso come restituzione di quello che abbiamo preso.
Quello che si riceve va restituito.
Semplicemente.
Non è una prescrizione del Galateo.
E’ una regola non scritta e senza tempo.
E’ una forma di rispetto verso l’Universo, perché – cosa che ormai abbiamo pressoché dimenticato – non si può solo prendere e pretendere.
Non è necessario che il dono venga restituito immediatamente o che abbia lo stesso valore di ciò che si è preso.
Ognuno restituisce ciò che può.
Quello che conta è il gesto.
Del resto, non sarebbe meraviglioso vivere in una società caratterizzata dal susseguirsi di doni?
Una società in cui ogni scambio e ogni progresso è frutto del dono degli altri?
Il mito del dono
In realtà il mito del dono, qui da noi, non è stato mai dimenticato.
Ricordo ancora quando, da bambina, vedevo e ascoltavo mia nonna dare e ricevere doni per qualsiasi cosa.
Lei era stata un’infermiera a Cagliari durante la Seconda Guerra Mondiale e quindi, da piccola, mi capitava di accompagnarla quando andava “a fare le punture” alle amiche e ai vicini. Insomma metteva a disposizione di quanti glielo chiedessero quello che sapeva fare.

Non è mai ritornata a mani vuote: dalle uova al vino, dai dolci al caffè.
Stessa cosa faceva lei quando riceveva un aiuto o un qualcosa di cui non disponeva.
Restituiva.
Questa consuetudine mi ha sempre affascinato, rivestiva mia nonna e le amiche di un’aurea strana, oggi definirei quasi sacra.
Solo ora capisco pienamente il grande valore dei gesti e della cultura che mi ha insegnato, magari inconsapevolmente… semplicemente dandomi l’esempio.
A distanza di anni e in un periodo che mai avrei (avremo) pensato di vivere, una pandemia, il mito del dono è ritornato nella mia vita: lo ha fatto semplicemente, attraverso un oggetto così povero e semplice da essere innocuo.
Il lievito madre.
Magari in un altro post ti racconterò di come mi è venuto in mente di fare il lievito madre, e di cosa significa questo preziosissimo dono.
Per ora voglio solo dirti come, a mio avviso, quello che (mi) è successo non sia stato un caso ma una concatenazione di eventi che hanno risvegliato, o meglio hanno reso palese e non più rimandabile, un bisogno e un’attrazione che ho sempre sentito, ma mai ascoltato come invece avrei dovuto.
Forse non era il momento.
E forse ora quel momento è arrivato.
Sento che non posso, non voglio, più aspettare e che tutto avviene molto naturalmente.
Così deve essere.
E allora non mi resta che imparare la sua lingua per poter meglio comprendere la mia terra e chi sono.
Concludendo…
Ho scritto questo post ispirata da una forte curiosità, ma anche dalla consapevolezza di fare qualcosa di bello e, cosa molto importante, consono al mio essere.
La voglia di ascoltare, imparare, provare, riprovare fino a comprendere pienamente quello che faccio è veramente tanta…
Le idee sono altrettante.
So però che non devo avere fretta, questo è solo l’inizio di un lungo percorso.
Un percorso che è la mia strada, quella che sono felice e curiosa di intraprendere.
Non so dove mi porterà, ma so che ne uscirò arricchita.
E questo mi rende felice! 😍
Ti suggerisco qualche link…
Leggende sarde al chiaro di luna: la Sardegna attraverso i suoi racconti
Il ballo con le janas: un libro che celebra il valore della memoria

